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Testo dei due incontri di catechesi tenutosi in Parrocchia sul Giubileo

Testo integrale delle due catechesi sul Giubileo:

Di seguito proponiamo il testo che il Parroco don Domenico ha tenuto in parrocchia nei giorni di venerdì 24 e 31 gennaio scorso:

Introduzione:

«Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5). Nel segno della speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma. La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. […] Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma.

(Francesco, Spes non Confundit 1)

Gesù Cristo, il nostro unico Signore, e lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13,8), sempre veniente e sempre intercessore per noi, nello Spirito Santo presso Dio Padre, è il veniente nel giorno e nell’ora che solo Dio conosce.

Per parlare di speranza, o meglio della virtù della speranza, dobbiamo collegarci a questo evento futuro proprio perché questa è la nostra fede. Noi celebriamo un anno giubilare non perché attendiamo un tempo nuovo, né un’era nuova, attendiamo sempre e solo quel giorno che lui ci porterà come vita eterna, come il regno di Dio. Nella trasfigurazione di questo mondo in cielo nuovo e terra nuova (Ap 21,1).

Celebrare l’anno giubilare, come vedremo meglio nel corso di questo primo incontro, è dunque accogliere un tempo forte, quasi un tempo di esercizio spirituale nel senso che ci impegniamo con più intensità, tutti insieme ad accogliere la misericordia del Signore.

Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente, sosteneva che obiettivo del giubileo è rinsaldare, rinnovare, rinforzare la fede é quindi la vita cristiana, che è la sola vera testimonianza a Cristo (Tma 42).

Questo rimane l’obiettivo del giubileo, nient’altro, e noi tutti dobbiamo vigilare perché questa celebrazione non resti prigioniera della gigantesca macchina organizzativa messa in moto non diventi un enfatica celebrazione trionfale, non è un periodo di affari, un periodo dove girano più denaro e più potere, ne tantomeno un anno scandito da celebrazioni eventi da calendario giubilare.

Dobbiamo invece renderci disponibili “a un’intensa esperienza di grazia e di speranza“ (SnC 6).

Due coordinate: memoria e tempo:

Noi celebriamo il giubileo per fare memoria della nascita di Gesù, la venuta di Dio in mezzo a noi 2000 anni fa, l’evento della Parola fatta carne, perché sappiamo che l’oblio, la dimenticanza incombe su di noi soprattutto in quest’epoca “senza memoria”, in cui appaiono nuove generazioni che i sociologi definiscono “generazione senza memoria”.

Il primo ingrediente direi, per celebrare bene il Giubileo dal punto di vista spirituale è fare memoria dell’evento dell’incarnazione per gustare interiormente che Dio ci salva nella storia, nella nostra storia. La salvezza e qui e ora in cui siamo chiamati a sperimentare una nuova amicizia, una nuova alleanza con Dio.

Vivere il Giubileo dunque è credere che tempo è storia sono “luogo teologico” della salvezza. Papa Francesco ci ricorda ancora che questo Giubileo ci preparerà a un’altro evento, quando nel 2033 saremo invitati a celebrare i 2000 anni della redenzione (Cf. SnC 6).

Nell’attuale cultura è diventato difficile trasmettere la fede, anche a causa della mancanza di memoria, ma allora proprio il Giubileo può essere occasione di ricordare: ricordare le meraviglie operate da Dio per noi, ricordare Gesù Cristo uomo e Dio morto e risorto, ricordare la sua venuta finale per giudicare i vivi e i morti e per instaurare definitivamente il Regno.

Fare memoria insieme è un modo di fare chiesa nella consapevolezza di essere stati amati e perdonati da Dio. Ecco perché il Giubileo non è un evento mondano ma un evento biblico ed evangelico soprattutto.

Il messaggio della Scrittura sul Giubileo:

“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono Santo” (Lv 19,2). Questo comando di Dio dice la vocazione alla santità del popolo d’Israele, è l’invito ad assumere i tratti di Dio “siate santi” letteralmente significa “siate altri”, cioè distinti dagli altri uomini non credenti, siate capaci di sottrarvi alla logica mondana che non vi permette di essere liberi e di vedere le realtà invisibili e quindi di aderire e fare esperienza del Dio vivente.

La santificazione del tempo: il sabato: primo livello

Nel popolo d’Israele la santificazione è scandita dal tempo. Il tempo e il luogo in cui l’uomo sperimenta l’alleanza e l’amicizia con Dio. L’Antico Testamento chiede innanzitutto di santificare il tempo dichiarando che Dio nella creazione a compimento dell’opera dei sei giorni, ha fatto santo il settimo giorno, il sabato (Gn 2,3).

La santificazione del tempo è un atto inaugurato all’inizio della creazione da Dio stesso, Per questo la santificazione del tempo fa parte dei 10 comandamenti ed è la condizione in cui l’uomo può iniziare l’opera della sua propria santificazione. L’inserimento nel tempo di un giorno “altro”, distinto significa inserire nel tempo la dimora di Dio, significa anche l’essere consapevoli che il tempo ha un fine datogli da Dio e che la creazione tutta, nel suo vivere, contiene in sé la promessa della pienezza, della salvezza totale. Per cui il giorno del sabato è un memoriale di ciò l’uomo è destinato a vivere: la comunione con Dio. Per questo il tempo in Israele è segnato dal tempo feriale e dal tempo “altro”.

Il settimo anno, anno sabbatico: secondo livello

Oltre a questo primo livello che riguarda il significato del tempo come luogo teologico, il settimo giorno c’era anche un secondo livello quello dell’anno sabbatico, cioè il settimo anno. Nel libro dell’Esodo al capitolo 21, 2-6 si chiede che il settimo anno ogni israelita schiavo riacquisti la libertà, al capitolo 23, 10-12 Si chiede di lasciare la terra incolta il settimo anno, di non lavorarla, perché ci sia riposo per essa stessa e per gli uomini, per gli animali e per ogni creatura. Il settimo anno è percepito come anno della liberazione degli schiavi e come un lunghissimo sabato, un anno da vivere nel riposo dopo sei anni impegnati nella coltivazione della terra. (legislazione del IX – VIII sec. A.C.) Questa consuetudine di riposo agricolo acquistava un significato di solidarietà: durante l’anno sabbatico gli indigenti, i poveri, trovavano da mangiare potendo entrare nei campi e consumare i frutti che spontaneamente crescevano in quell’anno.

Successivamente, nel Deuteronomio (VII sec a.C.), Si chiederà che l’anno sabbatico sia vissuto anche come anno di remissione dei debiti (Cf. Dt 15,1-18), Dunque un anno di liberazione da tutti i debiti contratti. Il debito poteva essere in danaro, oppure poteva implicare una prestazione di lavoro, allo scoccare del settimo anno risuonava per tutti l’ora della liberazione. L’anno sabbatico così diventa antidoto allo sfruttamento a motivo dei debiti permettendo così che è un debito non potesse legare una persona per sempre, era un principio di libertà e di fraterna solidarietà. In Dt 15,4 si legge: “Non ci sarà nessun bisognoso tra di voi!” Anche perché il povero e il debitore era considerato un segno di infedeltà dei credenti alla legge del Signore, segno di ingiustizia che contraddice la logica di comunione e di uguaglianza voluta da Dio. Dobbiamo dire che questo principio è molto forte nello stile di vita delle prime comunità cristiane nata dalla Pentecoste. Nel libro degli atti degli apostoli la comunità cristiana è raffigurata come moltitudine in cui non c’era nessun bisognoso perché tutti i beni erano distribuiti a ciascuno secondo il suo bisogno (Cf. At 4,32-35).

Ma anche la legislazione del dopo esilio nel libro del Levitico (VI sec. A. C.) Emerge una rilettura dell’anno sabatico in chiave di fede, c’è un’espressione eloquente in Lv 25,6: “Il sabato stesso della terra vi nutrirà” Cioè se voi attraverso l’osservanza dell’anno sabbatico mettete fede in Dio, questo atto di fede vi nutrirà, sarà per voi cibo!

L’anno giubilare: terzo livello

Accanto alla legislazione dell’anno sabbatico del settimo anno come abbiamo visto, nel Levitico c’è l’unica fonte riguardante l’anno giubilare, forse questo è un tentativo di rendere più incisiva ed efficace la normativa sull’ anno sabbatico, conviene che leggiamo questa fonte per esteso:

8Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. 9Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. 10Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. 11Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. 12Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi.

In questo testo troviamo finalmente la parola “giubileo” quasi come sinonimo di liberazione, liberazione delle persone, liberazione della terra, liberazione da ogni vincolo opprimente. È la fine dell’alienazione della terra, delle abitazioni, che devono ritornare, essere riscattate, e di nuovo appartenere a chi li aveva perse a causa di calamità, disgrazia, indebitamento…

possiamo benissimo intuire che il Giubileo vuole essere un memoriale dell’esodo, una prassi pasquale, l’anno del passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalle servitù alienanti, al servizio di Dio, l’anno delle remissioni.

Il Giubileo dunque pone il principio del “non per sempre”: lo schiavo ebreo non sarà schiavo per sempre, ma soltanto fino al Giubileo la terra non si può vendere per sempre, perché essa è di Dio e Israele non ne ha la proprietà ma solo il possesso dell’inquilino e del forestiero.

Ma questa dinamica di liberazione e di remissione che il Giubileo attua è particolarmente evidenziata dalla sua collocazione nel contesto del giorno delle assoluzioni (Yom Kippur), giorno della remissione dei peccati. Anche qui come la schiavitù, l’essere debitori, l’essere peccatori non è una condizione permanente, il peccato non ha l’ultima parola nella vita dell’uomo ma la misericordia di Dio. Dio è capace di perdonare e rimettere i peccati e quindi di ridare un futuro a chi è schiavo del proprio passato di peccatore.

Certamente possiamo domandarci una cosa, se questa legislazione sia davvero stata realmente realizzata nella prassi. Nessuna pagina dell’Antico Testamento testimonia effettivamente l’osservanza di questi precetti, Ma se non ci sono narrazioni di una prassi di tutto questo non è detto che non sia stata praticata nella storia del popolo di Dio, ciò che semplicemente non si narra non è detto che non esista.

Nel libro di Neemia (5,1-13) è testimoniata una richiesta nella logica giubilare a favore degli esiliati ritornati nella terra di Israele. Altra testimonianza viene dal libro dei Maccabei (fine II sec. a.C.).

In ogni caso questi testi sul Giubileo mostrano la volontà di Dio sulla vita del suo popolo e dichiarano quale sia l’ideale condizione di fedeltà e di santità dei credenti: se i credenti vivono in questa logica giubilare allora sono santi come Dio è Santo.

Il Giubileo e dunque attualizzazione e rinnovamento, dinamica di liberazione e di remissione, è memoriale del primato di Dio che si è manifestato a Israele come liberatore avendo eletto il suo popolo con la liberazione dalla terra della schiavitù.

Tre dimensioni emergono da questa breve analisi biblica:

  1. La terra è di Dio: per cui l’uomo è invitato ad avere con la terra un rapporto di gratuità e non di possesso dove si sperimenta un primato di Dio sul lavoro e sulla produttività: è Dio che manda avanti il mondo non è l’uomo assolutizzando il suo lavoro e la sua attività.
  2. Liberazione è la volontà di Dio: Il popolo di Dio è innanzitutto un popolo di liberati, chiamati alla libertà perché siano liberi. Da schiavi del faraone i figli di Israele sono diventati servi di Dio nella libertà e nell’amore all’alleanza.
  3. La remissione dei peccati: abbiamo visto come la legislazione riguardante il Giubileo è strettamente connessa con la festa dello Yom Kippur, la festa dell’espiazione dei peccati. L’anno giubilare sta quindi nell’orizzonte della conversione, del ritorno a Dio. Il Giubileo e quindi l’anno in cui si proclama e si sperimenta la misericordia e l’amore di Dio che perdona e cancella ogni peccato.

Il giubileo nella vita ecclesiale

Lo spirito è l’ideale del Giubileo è sempre stato presente nella fede di Israele non possiamo menzionare anche un testo importante del profeta Isaia:

1 Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
2a promulgare l’anno di grazia del Signore,
il giorno di vendetta del nostro Dio,
per consolare tutti gli afflitti,
(Is 61,1-2).

L’anno giubilare diventa per il profeta Isaia, l’anno della grazia del Signore. Come sappiamo questa profezia è stata interamente assunta da Gesù nella sinagoga di Nazareth per annunciare il compimento della sua persona e l’inizio del suo ministero pubblico (Lc 4, 21).

Gesù ha ricevuto da Dio la missione di portare la salvezza, la liberazione agli uomini, e questa sua venuta apre l’anno di grazia del Signore.

Gesù, in questo inizio del suo ministero secondo Luca, esprime la sua missione utilizzando il “registro giubilare”.

Nell’oggi di Gesù opera quella volontà di Dio che si era espressa nella legislazione dell’anno giubilare. L’anno di grazia di cui menziona questo testo è hanno ultimo, definitivo, valido una volta per sempre. È il tempo che va dalla venuta nell’umanità del figlio di Dio fino alla sua gloriosa venuta alla fine della storia.

E Gesù stesso l’evento di liberazione di remissione dei peccati, della misericordia, della giustizia della libertà…

Il Giubileo e di fatto Il tempo della Chiesa, il tempo intermedio tra la prima e la seconda venuta. Potremmo dire così, è Gesù il nostro Giubileo, nella salvezza cristiana non ci sono più né uno né due né diversi anni giubilari, è sempre Giubileo questo tempo. Non esistono più inizi di mesi salvifici, né altre ricorrenze cicliche, il Giubileo è “l’oggi”, Un oggi in cui Dio ci parla, in cui Dio stringe con noi alleanza soprattutto nell’Eucaristia centro della vita cristiana in cui è effuso lo Spirito Santo che ci fa corpo di Cristo per Dio Padre.

Ci viene spontaneo una domanda: ma se questo nostro tempo che viviamo, il tempo della Chiesa, cioè il tempo tra le due venute tra la prima e la seconda venuta di Cristo è tutto un Giubileo, come mai nella chiesa è entrata la prassi di celebrare un Giubileo?

Per milletrecento anni la chiesa romana non ne ha sentito il bisogno, fino ad oggi le altre chiese cristiane ortodosse o della Riforma e le chiese cattoliche orientali non sono ricorsi a questa celebrazione e neppure ne hanno sentito il bisogno.

Tuttavia questa celebrazione voluta dal successore Di Pietro a partire dal 1300 è celebrazione legittima, è celebrazione possibile, e deve essere un’occasione, un “tempo forte” per la conversione dei cristiani un rinnovato sforzo di ritorno al Signore. Poiché noi uomini non siamo in grado di essere sempre nella vigilanza, sempre consapevoli del dono del Signore e seguire il Signore Gesù di regola abbiamo bisogno di tempi forti, come la Quaresima, abbiamo bisogno di esercizi spirituali.

E per questa esigenza che è nato ed è stato ancora voluto l’anno Santo giubilare, Un anno in cui siamo chiamati a rinnovare la consapevolezza dell’amore di Dio per l’uomo e fare esperienza di un ritorno più profondo e più autentico a lui e al Vangelo di Cristo.

Secondo incontro: La speranza non delude (Rm 5,5)

“Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. […] La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 12.5).

La Speranza come la gioia, può essere mossa da certezze umane o da certezze evangeliche, infatti noi spesso speriamo e gioiamo per delle motivazioni umane, si gioisce per una promozione al lavoro, per la vincita della squadra del cuore, ecc. Sono gioie legittime anche buone, ma non sono legate a qualcosa di profondo.

Spesso come la gioia, speriamo perché siamo sicuri di riuscire in un progetto di vita in quanto confidiamo nelle nostre capacità umane ma quando i nostri progetti non si realizzano secondo le nostre aspettative – e spesso facciamo o abbiamo fatto tutti questa esperienza – andiamo in crisi, cominciamo ad avere paura del futuro, esso ci sembra nebuloso, misterioso. Passiamo dalla certezza al dubbio, dalla fiducia al timore, guardiamo l’avvenire con scetticismo e pessimismo.

“La speranza non delude…” L’Apostolo Paolo ci fa capire che la speranza ha un fondamento ben concreto, speriamo perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori in forza dello Spirito Santo ricevuto.

Nel capitolo 5 della lettera ai romani di San Paolo, i verbi sono alla prima persona plurale. Coinvolgono direttamente i cristiani e Paolo stesso, il soggetto quindi resta l’unico popolo dei credenti. È un invito ad avere fiducia totale in Dio che sa volgere in bene anche le situazioni negative grazie alla trasformazione portata nella storia da Gesù Cristo. Paolo ci mette nella consapevolezza che siamo figli di un’epoca nuova siamo stati giustificati, e riconciliati perché Cristo morì per noi. In base a questo status, di conseguenza le realtà future sono mosse dalla virtù della speranza che si poggia sulla certezza che saremo salvati. La grazia è una situazione presente, la gloria è una situazione futura. Già gratuitamente amati, saremo glorificati. La pace e la grazia, già presenti oggi nell’esperienza cristiana, rendono salda la speranza della gloria.

Siamo ormai abituati a volere tutto e subito in un mondo dove la fretta diventa una costante (SnC 4), viviamo in un mondo in cui la logica dell’immediato pervade nella nostra quotidianità, perdiamo il gusto e il valore del saper attendere, la mancanza di pazienza infatti atrofizza la speranza come virtù teologale animata dalla grazia del dono dello Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo, come ci insegna Paolo.

La speranza umana è spesso ingannevole: vuoi perché il suo fondamento e traballante, vuoi perché l’oggetto che si spera e inconsistente. La speranza cristiana è diversa perché il suo fondamento è l’amore gratuito di Dio e questo fondamento è già ora, anche se ancora come anticipazione e non in pienezza. Ma questa anticipazione muove la speranza.

Possiamo trovare nel vangelo un’icona come antitesi di questa mentalità, il testo è Lc 1,39-45:

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Maria ed Elisabetta donne dell’attesa, della pazienza e della speranza perché? Perché hanno creduto, Credere significa sentire la presenza di Dio dentro di noi, nella nostra esistenza, non c’è speranza senza fede. Celebrare il mistero del Natale è questo: accogliere il Signore che vuole prendere dimora in noi.

Inoltre Maria è l’immagine della «donna nuova», che si mette nella logica dell’amore di Dio. La scena della visitazione, letta nel tempo dell’avvento, ci aiuta ad entrare nel mistero cristiano del tempo. Dio verrà a visitarci per la nostra salvezza. Maria è l’immagine della prima redenta dal Signore, colei che accoglie e dona il Figlio all’umanità.

La Vergine sceglie la «via maestra del servizio». Con sollecitudine Maria si reca presso Elisabetta per portare il suo aiuto! L’incontro diventa un «canto di rivelazione» e di fede. Le due donne, immagini dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono in attesa di un compimento. Ci insegnano a «saper aspettare» nella speranza del Dio che viene!

Elisabetta profetizza il compimento del tempo. Nelle sue parole di saluto si cela tutto il mistero dell’attesa compiuta! La maternità di Elisabetta è il segno che rivela come la sterilità può diventare fecondità secondo le promesse di Dio. Questo accade nella logica della fede: Elisabetta riconosce in Maria la presenza di Dio, incarnato nel suo grembo. Elisabetta celebra la beatitudine della fede.

Quali messaggi possono venire da questa pagina per il nostro «oggi»? Si tratta di un testo di speranza, che nasce dal cuore di due madri che hanno detto «si» a Dio.

Se vogliamo sperimentare la speranza come virtù capace di guardare il mistero della nostra vita e ciò che ci circonda in modo evangelico, dobbiamo, come Maria ed Elisabetta dire di “si” a Dio.

Dire di “si” a Dio è l’unica via per sperimentare la virtù della speranza non come una consolazione effimera ma come certezza che la mia storia, Dio l’ha assunta con la sua incarnazione ed è diventata con la sua Pasqua, storia di salvezza, storia in cui porta con se uno sviluppo, una crescita che arriva a maturazione nella vita eterna e nella risurrezione futura.

La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle “virtù teologali”, Che esprimono l’essenza della vita cristiana (Cfr. 1Cor 13,13; 1Ts 1,3). Nel loro dinamismo inscindibile, la speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente” (SnC 18).

Con queste parole, si esprime Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo del 2025. Che riecheggia un po quello che ci siamo detti, ossia la speranza imprime un orientamento, una direzione verso un fine, anzi, verso il fine dell’esistenza cristiana, che è la contemplazione eterna dell’amore di Dio nella vita eterna e nella risurrezione futura.

Abbiamo bisogno di abbondare nella speranza ci ricorda Papa Francesco Per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore.

C’è un fondamento del nostro sperare, tutta la Bibbia e soprattutto il nuovo testamento ci consegna questo fondamento, Il fondamento è Cristo stesso, la sua amicizia, la sua umanità incarnata attraverso la quale ci consegna alla nostra umanità debole, la sua divinità. Il nucleo fondamentale nello sperare in modo evangelico è il Kerigma, Gesù è morto ed è risorto per la nostra salvezza (1 Cor 15,3-5).

“Credo la vita eterna” Così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo la vita eterna come nostra felicità.

Il Concilio Vaticano II afferma: “Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione” (GS 14).

Papa Francesco menzionando questo importante passaggio della Gaudium et Spes ci ricorda che noi, in virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui: è con questo spirito che facciamo nostra la commossa invocazione dei primi cristiani con la quale termina la Sacra Scrittura “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20; SnC 19).

Ritornando a Maria ed Elisabetta, la scena evangelica ci da un altro spunto importante, soprattutto scorrendo i versi del magnificat di Mara immediatamente l’incontro con Elisabetta.

Maria sa cogliere i segni di Dio nella storia, anche il Concilio Vaticano Secondo ci ha insegnato che noi cristiani, in virtù dell’esperienza di fede dobbiamo saper cogliere i “segni dei tempi”. Saper cogliere e soprattutto gustare nella vita al tanto bene è presente nel mondo. Questi segni della presenza di Dio Papa Francesco ci ricorda che possono essere trasformati in “segni di speranza” (SnC 7).

Cosa sono questi segni di speranza? Sono i desideri di bene, il desiderare dettato dai valori evangelici, il guardare il futuro con speranza.

Il primo segno di speranza si deve tradurre nel desiderare la pace nel mondo. Siamo forse ahimè abituati a convivere con i vari focolai di guerra ancora accesi in tutto il mondo. Le notizie che ci vengono date su questo tema, forse perché talmente abituati ad esse, ci lasciano quasi indifferenti, ci siamo abituati, siamo un po rassegnati. Invece dovremmo desiderarlo come singoli e come comunità.

Il desiderio di trasmettere la vita, altro segno di speranza, invece viviamo in un mondo, specialmente quello nostro occidentale, in cui si sperimenta la perdita del desiderio di trasmettere la vita a causa dei ritmi frenetici, del troppo timore verso il futuro, la mancanza di garanzie lavorative. In un mondo in cui la regola di vita ed è dettata dal profitto anziché la cura delle relazioni.

Il Papa esorta le comunità credenti a coltivare questo desiderio, in quanto segno autentico di speranza (SnC 9), e segno autentico della gioia di vivere, parte integrante del progetto di Dio per l’umanità creata ad immagine e somiglianza Di Dio (Gen 1,26). 

Sempre Papa Francesco ci esorta che nell’anno giubilare siamo chiamati ad essere segni di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio, per esempio i detenuti privi della libertà. Sarebbe bello che nel Giubileo ci fossero iniziative e percorsi a dare speranza a queste persone.

Siamo chiamati a dare segni di speranza anche agli ammalati e agli anziani che si trovano in casa o in ospedale. Ricordiamoci, che le opere di misericordia sono anche opere di speranza (SnC 11).

Disegni di speranza hanno bisogno anche i giovani, spesso nel mondo giovanile c’è rabbia frustrazione incertezza verso il futuro, quando lo studio non offre sbocchi. Varie fragilità che trovano consolazioni effimere e false nelle droghe facendoli scivolare in baratri oscuri fino a spingerli a compiere gesti autodistruttivi. Il Giubileo e anche impegno a impedire tutto questo e a dare risposta con una rinnovata passione verso i ragazzi gli studenti, i fidanzati (SnC 12).

Non potranno mancare segni di speranza, afferma papa francesco, nei riguardi dei migranti degli esuli, e profughi che abbandonano la loro terra in cerca di una vita migliore. La comunità cristiana sia sempre pronta a difendere il diritto dei più deboli.

Speranza anche verso i poveri che spesso mancano del necessario per vivere, di fronte a diverse ondate di impoverimento. Il sostegno verso i poveri è importante in un mondo dotato di molte risorse che non sono largamente condivise in modo equo.

Il Papa nella bolla di indizione del Giubileo 2025 ci dà un po queste coordinate importanti. Lasciamoci attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi cristiani diventi contagiosa per quanti la desiderano. Tutta la nostra vita possa essere un messaggio di speranza secondo il Salmo 27: spera nel signore sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore (Sal 27,14).